Una mano regge un filo. Qui si racconta della labilità del tempo e del suo passaggio, il filo si sfrangia, si slaccia come i ricordi e poi riconduce al punto di partenza. È il filo conduttore che ora si vede e ora rimane occulto, è anche il filo chirurgico teso dalla mano che così spesso appare nei lavori del medico-pittore. Il filo è il trascinare, lo scandire, lo scorrere irreversibile del tempo. Come il nastro di Moebius non permette di distinguere tra esterno e interno non esiste una direzione precisa perché il tempo non segue una linea retta. Si parte da un viaggio a ritroso colto nella sua istantaneità: un uomo scatta una foto, l’adesso ritrovato… Proprio perché questa esposizione sarebbe dovuta essere una sorta di “Amarcord” ristretta a un gruppo di amici della 3^B del Liceo Classico Balbo. Spiega Olliaro: “Il tutto nasce da qualcosa che sta tra un invito, un augurio e una sfida: Renée, mamma di Federico, mi regalò un libro d’arte con una dedica scritta su foglio di carta a quadretti che diceva: “A Piero, qui “vivrait pour l’art”, dans l’espoir qu’il fasse un jour quelque chose de bien”
Il percorso della mostra “Je n’ai pas vu le temps passer” di Piero Olliaro non è volutamente cronologico, ma tematico. I soggetti sono tutti strettamente correlati e riconducibili all’idea della labilità temporale, con chiaro riferimento alla sfera autobiograca e pervasi da un di‑uso senso di sospensione. Il doppio, il destino sono riconoscibili nei soggetti che assumono altre fattezze: sono maschere, fantasmi, talora inganni in cui la “realtà” diventa rarefazione.
Architetto Roberto Carpani
Il percorso della mostra “Je n’ai pas vu le temps passer” di Piero Olliaro non è volutamente cronologico, ma tematico. I soggetti sono tutti strettamente correlati e riconducibili all’idea della labilità temporale, con chiaro riferimento alla sfera autobiograca e pervasi da un di‑uso senso di sospensione. Il doppio, il destino sono riconoscibili nei soggetti che assumono altre fattezze: sono maschere, fantasmi, talora inganni in cui la “realtà” diventa rarefazione.
Architetto Roberto Carpani

